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Il turismo non ci aspetta
di Sandro Ballisto | 02/07/2014 | OPINIONI
di Sandro Ballisto | 02/07/2014 | OPINIONI
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"Sposta la rete dove passa il banco dei pesci, non aspettare che essi passino nel tuo mare ed entrino nella rete". Molti pensano che basti costruire alberghi o resort per trasformare una località in una zona turistica. Che sia sufficiente realizzare un porticciolo per dare una svolta all'economia locale. Ci credono anche molti politici che usano queste opere come specchietti per le allodole. Ma la sorte turistica di un territorio non dipende dalle strutture che esso possiede, soprattutto oggi, considerando le notevoli offerte turistiche globali. Oggi chi entra in una qualsiasi agenzia di viaggi trova pacchetti vacanza per ogni parte del mondo, e a volte con prezzi così economici che spesso alcuni clienti, a parità di spesa, scelgono di andare in altri continenti piuttosto che restare nel proprio. Oggi i gusti turistici si sono molto segmentati e per questo sono nate le nicchie turistiche, cioè viaggiatori che visitano determinati luoghi per un interesse particolare: ad esempio gli amanti del surf che girano il mondo e vanno solo in certe località in cui trovano il mare giusto per la loro passione. Qual è il modo giusto per far sì che un luogo tragga profitto dalle proprie caratteristiche culturali e paesaggistiche? La parola chiave è analisi: conoscere le tendenze attuali e i flussi del mercato turistico, capire come con piccoli interventi strutturali si possa rispondere a tali richieste, censire e mettere in rete professionalità e competenze; riconoscere, valutare e valorizzare le potenzialità autoctone. Così ogni intervento nasce per soddisfare una domanda reale piuttosto che forzate ipotesi turistiche non supportate da dati di mercato. Non si costruiscono le cattedrali nel deserto per farle restare vuote. Non si dissipano milioni di soldi pubblici per creare opere che non serviranno a nulla. Che logica c’è dietro la costruzione di un albergo da centinaia di camere che viene sfruttato a mezzo regime e solo per un mese l'anno, magari in un luogo non attrezzato e privo di servizi, tanto da non poter offrire altro che un posto letto? Forse una logica ci sarà, ma non è logica che crea sviluppo. L'errore commesso da molti è vedere il mondo come lo si vedeva quarant'anni fa, un mondo in cui l'economia tirava e in cui gli investimenti, anche sbagliati, forse si ammortizzavano in minor tempo. Oggi non è più cosi, abbiamo conoscenze che ci aiutano ad ottimizzare bene ogni uscita e a non pregiudicare il futuro con scelte sbagliate. Molti imprenditori e politici ignorano le reali esigenze del proprio territorio e cercano di imporre modelli turistici inappropriati. Si sono trovati a Rimini in vacanza e tornati a casa pensano magari che lo stesso schema sia replicabile da loro. Come se si volesse installare il motore di una Ferrari su una Cinquecento. E magari dimenticano che i loro luoghi sarebbero molto apprezzati da qualche nicchia di vacanzieri di tutto il mondo. Ignorano che oggi la legge del mercato per avere successo è diversificare, esaltare le proprie unicità. Se si è unici si ha meno concorrenza. Le domande da porsi sono allora: siamo davvero unici? Quanto la nostra unicità può essere appetibile? Cosa dobbiamo fare per far conoscere la nostra unicità? Ho provato a dare delle risposte partendo dalla zona della Sicilia in cui vivo: la Valle d'Agrò, in provincia di Messina. La risposta è sì, siamo parecchio unici. Abbiamo una conformazione geofisica particolare, fatta di colline e vallate. Abbiamo mare, spiagge, ma soprattutto un entroterra con piccoli borghi pieni di storia, una vegetazione variegata, boschi e sentieri. Potremmo venderci per tutto l'anno, ed invece riusciamo ad offrire solo quindici giorni di mare in estate. Con l'erosione continua delle spiagge cosa offriremo fra qualche anno? Eppure le nostre colline non hanno niente da invidiare a quella delle Cinque Terre o ai colli senesi. Il nostro territorio è così unico che solo noi non ce ne accorgiamo. Basterebbe poco per attivare nuovo turismo, piccole cose che migliorerebbero la vita dei residenti e permetterebbero a chi viene a visitarci di poterlo fare bene. Ad esempio i collegamenti dei mezzi pubblici: più corse dei bus per Savoca e Forza d'Agrò, borghi conosciuti in particolare dai visitatori stranieri; migliori collegamenti per Antillo e Mandanici, o semplicemente un mini bus per Casalvecchio Siculo e le sue frazioni. A cosa servirebbero? A valorizzare i nostri splendidi sentieri di montagna, una nostra unicità, sottovalutata. Partire a piedi da Antillo, raggiungere Pizzo Vernà, osservare da lì il mar Jonio e il mar Tirreno, l'Etna e le Eolie. Da Vernà raggiungere Rimiti. Nel percorso conoscere una vegetazione che i turisti del nord Europa neanche immaginano. Promuovere semplicemente un circuito del trekking, termine che per molti amministratori nostrani è una parola incomprensibile; amano parlare di opere faraoniche e di svincoli aerospaziali. Parole che il vento di ogni elezione porta via, insieme alle speranze di tanti giovani che vivono su una miniera d'oro e vanno a cercar fortuna altrove.
E se diventassimo una zona specializzata nel trekking? E se invece di parlare di mega alberghi di massa iniziassimo a pensare ad un modello di turismo sostenibile? A questo proposito basta leggere l'XI Rapporto Ecotur sul Turismo natura, redatto da Istat, Enit ed Università de L'Aquila, per rendersi conto che in Italia le cifre del turismo natura nel 2013 indicano un incremento dell'1,48% delle presenze rispetto al 2012, rispetto ad un turismo tradizionale che invece e diminuito del 3,5%. Ma il dato sconcertante è che la Sicilia in questo mercato è quasi assente.