Con i fazzoletti di cotone si può cambiare il mondo
di Sandro Ballisto | 05/09/2013 | ECONOMIA
di Sandro Ballisto | 05/09/2013 | ECONOMIA
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La crisi si fa sentire ed è entrata nelle nostre abitudini al punto che anche il nostro stile di vita sta cambiando. Ogni tanto qualcuno annuncia la ripresa ma, sempre più spesso, sentiamo parlare di gente che ha perso il lavoro, che non arriva a fine mese, che non trova occupazione. Forse è ora di rivedere il nostro futuro, forse esso non sarà come lo avevamo immaginato, forse è anche un bene ricevere questo segnale di vitalità, forse è ora di rivedere la nostra educazione al consumo. Per anni abbiamo imparato che il consumo di prodotti, che il Pil, fosse indice di benessere e consciamenente o incosciamente ci siamo lasciati andare a questa forma di amore per il bene del Paese. E' sembrato quasi che chi non consumasse non fosse abbastanza patriota. Comprare era ed è l'imperativo che determina sia un piacere personale che un bene per la comunità. Ma ora che consumare riesce difficile, cosa si fa? Non si hanno molte alternative; la soluzione moralmente perseguibile è quella di rieducarsi al consumo. Un grosso lavoro di discernimento fra ciò che è superfluo e ciò che è necessario: l'auto è necessaria, ma una di grossa cilindrata è superflua; il viaggio all'estero è piacevole, ma restare e visitare la propria terra lo sarà altrettanto; un nuovo computer farebbe comodo ma, con degli aggiustamenti, il vecchio potrebbe durare ancora qualche anno. Educarsi al consumo implica la domanda: cosa veramente mi fa stare bene? Sicuramente la risposta non può che essere scontata: sono le relazioni umane il nostro bene, non certo i beni materiali. Comprare e consumare non fanno stare bene, regalano un piacere momentaneo, ma che svanisce con rapidità, tant'è che appena tornati a casa si ha voglia di ritornare alla carica, di fare nuove escursioni nei negozi e nei centri commerciali. Ma fermare i consumi non rischia di frenare l'economia del paese? Il problema non è smettere di consumare, ma consumare bene. Ma forse anche in questo abbiamo perduto la capacità di saper distinguere il prodotto di qualità da quello scadente, perchè ci siamo cullati sul concetto che brand notorio equivalga a prodotto di qualità, ma non é sempre così, purtroppo. Non leggiamo più le etichette, non riflettiamo sul fatto che spesso la differenza fra un capo di abbigliamento da mille euro ed uno da cento, oltre al taglio ovviamente e al brand, è solo una piccolissima percentuale di lana. Ed allora cosa è "qualità"? La qualità di un prodotto si misura in durata, in bellezza, in materie prime utilizzate, in rispetto che l'azienda produttrice ha dell'ecosistema, in tutela dei lavoratori, in fasi di lavorazioni del prodotto che evitano l'uso di sostanze dannose per la salute. Dovendo tenere in considerazione questi aspetti, comincia ad essere difficile acquistare d'impulso; è necessario riflettere prima di acquistare, ne va del nostro benessere, dell'ambiente e del rispetto per altri esseri umani che subiscono ingiustizie a causa della nostra sfrenata corsa al consumo. Prima di acquistare sarebbe bene riflettere sul fatto che noi facciamo parte del 25% della popolazione mondiale che consuma l'80% delle risorse del pianeta; il restante 75% vive con solo il 20% di risorse. Una sproporzione che implica dominatori (noi del nord del mondo) e dominati, implica guerre "per la democrazia", tragedie dell'immigrazione, ma soprattutto fame e malattie. Il nostro paradiso è sorretto dall'inferno in cui costringiamo a vivere i popoli del sud del mondo. Consumare bene, quindi, non solo migliora l'economia ma anche la giustizia nel pianeta. Se le nostre scelte d'acquisto sono rivolte a prodotti di qualità che escono fuori dalla logica dell'usa e getta tutti ne abbiamo giovamento. Ne ha giovamento l'ecosistema perchè si ha meno richiesta di materie prime e si hanno meno rifiuti, si ha meno sfruttamento di manodopera a basso costo, si ha più rispetto per la vita. Viviamo in un sistema economico che è basato su teorie sviluppate nel diciannovesimo secolo in un pianeta completamente diverso da quello attuale, un pianeta che non raggiungeva un miliardo di esseri umani, un pianeta ancora ricco di risorse, un pianeta che sembrava non finire mai. Oggi le cose sono profondamente cambiate; nel mondo siamo 7 miliardi, e le risorse del pianeta si stanno esaurendo. Ora sta a noi decidere se continuare a consumare e lasciare ai nostri figli un pianeta impoverito, oppure iniziare un cambiamento intelligente che faccia vivere noi e le generazioni future su di un globo vivibile per tutti e non solo per pochi eletti. Un'economia basata sul consumo è destinata a fermarsi quando tutto viene consumato. A volte noi singoli sottovalutiamo il potenziale che abbiamo, con i nostri piccoli gesti quotidiani, per dare una svolta a questo pianeta; pensiamo che solo l'intervento massiccio di tutti possa veramente cambiare il nostro destino. Ed è qui che ci sbagliamo: ognuno di noi può fare tanto. Bastano piccole modifiche al proprio stile di vita per alleviare il peso della crisi, per realizzare una maggiore giustizia sociale e per fermare il degrado dell'ecosistema. Rieducarsi al consumo ponendo attenzione ai nostri acquisti e alle nostre abitudini. L'uso, per esempio, dei fazzoletti di carta è ormai entrato nelle vite di tutti ed è un esempio di economia del consumo. I fazzoletti rientrano nella logica dell'usa e getta, per produrli si tagliano alberi, si consumano grosse quantità di acqua. Per essere morbidi e bianchi vengono sottoposti a trattamenti chimici tossici e inquinanti, poi vengono impacchettati e fatti viaggiare per chilometri. Un grosso processo produttivo che si consuma in un soffio. Il guaio dei fazzoletti di carta è che non possono essere riciclati, si possono in teoria compostare e diventare concime, si, ma è uno spreco enorme di risorse per un'abitudine che potrebbe essere facilmente cambiata. La florida industria dei fazzoletti di carta ha creato sì posti di lavoro, ma a che prezzo per il pianeta? Qual è la soluzione? Negli anni 70, quand'ero bambino, pochissimi usavano i fazzoletti di carta, tutti andavamo in giro con i fazzoletti di stoffa, era una cosa normale (qualcuno di noi non usava neanche quelli, si arrangiava con i polsini delle maglie). Poi la pubblicitá ci ha fatto credere che quelli di carta fossero migliori, più pratici e igienici, e così, dopo trenta anni, la maggior parte della gente li usa quotidianamente senza pensarci su tanto, è diventato un atteggiamento così radicato che di fazzoletti di stoffa non se ne trovano quasi più. Qualcuno potrebbe dire che quelli di stoffa non si possono riciclare, vero, ma con uno di essi e due euro di spesa, ci fai anche 10 anni, quando si sporca lo metti in lavatrice con il resto del bucato ed è nuovo e pulito come prima. Gli usa e getta no; soffi il naso due volte, al massimo, e lo devi buttare creando così montagne di fazzolettini. È l'usa e getta che è superfluo, un'idea di mercato economico basato sugli sprechi, come se le risorse fossero infinite. Ma non solo: anche le stoviglie di plastica rientrano nel consumismo usa e getta. Oggi tutto è usa e getta: il telefonino lo usi un anno e dopo, anche se ancora funzionante, lo cambi per uno smartphone; il televisore che deve essere sempre di ultima tecnologia, in 10 anni si è passati dal tubo catodico ai led 3D; l'auto che va cambiata per una sempre più grossa; l'abbigliamento sempre alla moda così che gli armadi si svuotano di capi ancora perfetti per fare spazio a quelli nuovi. Tutto usa e getta per uno spreco che fa crescere il Pil, ma che impoverisce il pianeta portandoci verso un futuro che non promette niente di buono. Allora? Rieducamoci al consumo, mettiamo i beni materiali al loro posto, un posto secondario. Riportiamo al primo posto della classifica delle priorità personali gli affetti, l'amicizia, lo stare con gli altri, l'aiuto per il prossimo, la giustizia sociale. Se guardiamo i nostri armadi con questi occhi nuovi ci troviamo maglioni ancora nuovi, scarpe che con una lucidata possono ancora fare chilometri. Auto che possono anche non servire più perché sostituite da biciclette e mezzi pubblici (dove è possibile, certo). Televisori che non serve avere in ogni stanza, ma un solo televisore in salotto da guardare tutti insieme, perchè l'importante, per noi, sarà solo stare insieme. Con questi occhi nuovi scopriremo che i sabato pomeriggio possiamo fare anche altro piuttosto che trascorrerli in un centro commerciale distante chilometri da casa nostra, possiamo passarli a girare le vie dei nostri paesi, nelle nostre piazze e riportarle in vita. Un piccolo cambiamento nelle nostre abitudini che genererà una valanga capace di cambiare il futuro del pianeta, e che riporterà nelle nostre vite il piacere di vivere insieme agli altri.