Giovedì 25 Aprile 2024
Ribaltata la sentenza di primo grado di due anni fa per fatti risalenti al 2014


Non diffamò il parroco di Forza d’Agrò: assolto in appello consigliere comunale

di Andrea Rifatto | 19/12/2020 | CRONACA

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Nel 2018 il giudice si era espresso diversamente

Ribaltata in appello la sentenza di condanna del consigliere comunale di Forza d’Agrò Emanuele Di Cara, emessa due anni fa dal Tribunale di Messina per il reato di diffamazione aggravata, contestato perchè secondo l’accusa aveva offeso la reputazione del parroco del paese, don Luciano Zampetti, con parole finalizzate a screditarne l’immagine, l’onore e la reputazione personale ed ecclesiastica. La Corte d’appello di Messina ha infatti assolto Di Cara, capogruppo di maggioranza attuale e all’epoca dei fatti, con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”, riformando la sentenza emessa l’11 dicembre del 2018 dal giudice monocratico Giovanni Grasso e appellata dall’imputato. In primo grado l’amministratore comunale, difeso dall’avvocato Salvatore Gentile, era stato condannato alla pena di 1.500 euro di multa oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e al pagamento delle spese. Il processo nacque a seguito della querela presentata il 9 febbraio del 2015 da don Zampetti, assistito dall’avvocato Giovanni Cambria, per alcuni messaggi ritenuti diffamatori e un testo riguardante l’operato del sacerdote dal titolo “L’ex Don Camillo oggi Pretino e il concetto di democrazia”, pubblicato il 22 novembre 2014 da Di Cara sul sito internet “Il giornale di Forza d’Agrò”, contenente tra l’altro le frasi “chiediamo scusa al pretino Zampetti perché chiamandolo Don Camillo gli avevamo fatto un complimento (immeritato)… ecco chi era il Don Camillo dei poveri che da oggi sarà il pretino di Forza d’Agrò”. Parole che per i giudici di appello non configurano il reato di diffamazione aggravata e tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza. In primo grado Emanuele Di Cara era stato dichiarato colpevole perchè era stata riconosciuta l’esistenza di un “non isolato episodio lesivo e la circostanza che le offese siano state perpetrate nel contesto di una piccola comunità con correlato maggior impatto conoscitivo e lesivo dell’immagine della parte offesa”.


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