Giovedì 25 Aprile 2024
Blitz della Guardia di Finanza. In quattro ai domiciliari per associazione a delinquere


Estorsioni ai dipendenti, arrestati gli imprenditori Saglimbeni di Santa Teresa - VIDEO

di Redazione | 21/07/2022 | CRONACA

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ll blitz scattato questa mattina

Avrebbero promosso e costituito una strutturata organizzazione criminale, dedita alla commissione di condotte estorsive in danno dei propri dipendenti. Con questa accusa sono state arrestate questa mattina quattro persone appartenenti alla famiglia imprenditoriale Saglimbeni di Santa Teresa di Riva, proprietaria della società "Top Market Srl" che gestisce un supermercato affiliato “Decò” nella cittadina jonica. Il blitz è scattato all’alba da parte della Guardia di Finanza di Taormina, che all’esito di complesse attività investigative ha dato esecuzione ad un provvedimento cautelare personale e reale disposto dal Tribunale di Messina su richiesta della locale Procura della Repubblica. Agli arresti sono finiti Carmelo Saglimbeni 74 anni, il fratello Domenico Saglimbene 70 anni, Provvidenza Saglimbeni 49 anni e Carmen Saglimbeni 43 anni, figlie di Carmelo, accusati di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e all’autoriciclaggio. Per tutti e quattro il Gip Tiziana Leanza ha disposto gli arresti domiciliari. Indagato anche il consulente del lavoro Salvatore Bucalo, per il quale il pubblico ministero Stefania La Rosa aveva chiesto la misura cautelare dell’obbligo di firma, che è stata però rigettata dal Gip. I quattro arrestati sono difesi dagli avvocati Antonio Scarcella e Massimo Principato. Le indagini, sviluppate dalle Fiamme Gialle ai comandi del capitano Angelo Schillaci, si sono avvalse del fondamentale apporto dichiarativo dei lavoratori, che secondo gli inquirenti sarebbero stati vessati dalla famiglia Saglimbeni, e hanno documentato il sistematico ricorso a schemi di fittizio pagamento dei corretti emolumenti previsti dai Contratti collettivi nazionali: mensilmente, di contro, i lavoratori venivano obbligati alla restituzione in contanti di quota parte dello stipendio solo formalmente loro corrisposto. Parimenti, approfittando del loro stato di bisogno, analoghi illegittimi comportamenti si documentavano con riferimento alla sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro ed ai riposi spettanti. L’attività d’indagine trova la sua genesi nella quotidiana attività di controllo economico del territorio esperito dalle Fiamme Gialle peloritane, soprattutto con riferimento alla piaga del sommerso di lavoro ed all’utilizzo di manodopera cosiddetto in nero e/o irregolare, che ha permesso di individuare nell'attività 14 lavoratori in nero e 15 irregolari.

La disamina approfondita della documentazione extracontabile rinvenuta – tra cui diversi inequivoci “pizzini”, agende e prospetti di calcolo – acquisita in sede di primo accesso all’azienda, ha permesso di ipotizzare l’esistenza di una vera e propria struttura organizzata. Di qui, quindi, lo sviluppo dell’attività d’indagine, diretta dalla Procura della Repubblica di Messina e consistita in approfondimenti documentali ed intercettazioni telefoniche, che hanno chiarito come gli imprenditori, oggi tratti in arresto, avessero fatto del “ricorso a minacce e soprusi” nei confronti dei lavoratori dipendenti, “un vero e proprio metodo di lavoro”. Presupposto imprescindibile per l’avvio e la prosecuzione dei rapporti lavorativi risultava proprio l’accettazione, da parte dei dipendenti, di condizioni contrattuali palesemente squilibrate, “lasciando chiaramente intendere che ove non avessero accettato la proposta non sarebbero stati assunti ovvero che sarebbero stati licenziati”. La coerenza del quadro indiziario ha portato lo stesso giudice del Tribunale di Messina a sottolineare come si trattasse di “un modus operandi consolidato, volto ad estorcere sistematicamente denaro ai lavoratori assunti e a imporre loro condizioni inique di lavoro al fine di conseguire ingiusti profitti economici, avvalendosi del potere di prevaricazione derivante dalle condizioni di difficoltà economica in cui versavano le persone offese; potere esercitato mediante minaccia, di volta in volta esplicita o velata, di licenziamento”. Le indagini esperite hanno permesso di accertare che gli indagati reinvestissero i proventi illeciti, pari a 185mila euro oggi sottoposti a sequestro preventivo, nell'acquisto di terreni. Operazioni finanziarie illecite concordate da parte di tutti i sodali, al solo fine di autoriciclare il denaro provento delle estorsioni.

Più informazioni: inchiesta top market  


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