Sabato 01 Novembre 2025
L'inchiesta sulle infiltrazioni mafiose. Coinvolto un imprenditore di Santa Teresa


Appalti e corruzione a Mojo Alcantara e Malvagna, sei condanne in appello con pene ridotte

di Andrea Rifatto | 23/10/2025 | CRONACA

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L'intreccio ricostruito dalla Guardia di Finanza

Confermate in appello le sei condanne decise in primo grado nel luglio 2024 dal Tribunale di Messina nel processo sulle infiltrazioni mafiose ed il condizionamento delle amministrazioni comunali di Mojo Alcantara e Malvagna ad opera del clan Cintorino-Calatabiano di Cosa nostra catanese, scaturito dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Messina e della Guardia di Finanza che nel maggio 2022 portarono a sette arresti per associazione a delinquere di stampo mafioso e corruzione. La Seconda Sezione penale della Corte d’appello, presieduta da Francesco Tripodi, ha emesso ieri la sentenza d’appello e sono arrivate riduzioni di pena per tutti gli imputati del procedimento, diviso in due parti visto che Giuseppe Pennisi e Clelia Pennisi avevano scelto il rito abbreviato per ottenere una riduzione della pena, mentre gli altri imputati avevano optato con il rito ordinario. L’ex sindaco di Mojo Alcantara, Bruno Pennisi, assolto in primo grado dal reato associativo mafioso con la formula “per non aver commesso il fatto”, era condannato a 6 anni di reclusione per un caso di corruzione, pena adesso ridotta a 4 anni e 6 mesi con l’attenuante speciale della particolare tenuità non dell’evento ma del fatto nel suo insieme, ritenuta prevalente sull'aggravante della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio; Giuseppe Pennisi è stato condannato a 7 anni (in primo grado 10 anni e 9 mesi con interdizione dai pubblici uffici e libertà vigilata per 3 anni); Carmelo Pennisi, 12 anni (13 anni); Antonio D’Amico 4 anni e 3 mesi con la concessione delle attenuanti generiche (6 anni); Santo Rosario Ferraro, imprenditore edile di Santa Teresa di Riva, 3 anni e due mesi con le attenuanti generiche (4 anni); Luca Giuseppe Orlando, ex assessore ai Lavori pubblici di Malvagna, 7 anni e 6 mesi con le attenuanti generiche (10 anni e 4 mesi). L’allora vicesindaca Clelia Pennisi era stata assolta da tutte le accuse “per non aver commesso il fatto”. A difendere gli imputati gli avvocati Vittorio Basile, Giancarlo Padiglione, Salvatore Pagano, Nunzio Rosso, Francesco Strano Tagliareni, Franco Rosso, Antonino Pillera, Carlotta La Spina, Giovanni Spada e Giuseppe Testa.

L’inchiesta partì dopo le dichiarazioni del pentito catanese Carmelo Porto, ex appartenente al clan dei Cintorino e poi collaboratore di giustizia, che dopo il suo arresto con l’operazione “Isola Bella”, che ha documentato interessi mafiosi nel settore turistico, ha spiegato ai magistrati della Dda Messina le dinamiche criminali nella fascia jonica. Dichiarazioni che portarono la Distrettuale antimafia e il Gico della Guardia di Finanza a ritenere la presenza di cellula decisionale e operativa della mafia in grado di ingerirsi, condizionandole, nelle dinamiche elettorali-politiche di Mojo Alcantara e Malvagna, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa, attraverso l’infiltrazione di soggetti alla stessa struttura criminale direttamente o indirettamente riconducibili. Secondo l’accusa l’allora sindaco di Mojo Alcantara Pennisi favoriva vendite di materiale edile da parte della società della quale era agente di commercio, turbando la procedura di gara relativa al recupero del tessuto urbano locale a favore di un imprenditore di Santa Teresa di Riva, Santo Rosario Ferraro, titolare della “Effe Costruzioni” chiamato a rispondere di corruzione per aver promesso somme di denaro e acquisto di materiali, pilotando il sorteggio delle ditte interessate alla realizzazione dei lavori e individuando su 308 soggetti che avevano manifestato interesse dieci ditte, tra cui quella santateresina; l’ex assessore Orlando di Malvagna, secondo l’accusa, induceva il rappresentante di una ditta edile di Barcellona Pozzo di Gotto, aggiudicataria di lavori pubblici in paese, a rifornirsi di materiale edile da una ditta di Randazzo di D'Amico, con lo scopo di agevolare l’associazione mafiosa, e il titolare della ditta edile catanese corrispondeva all’amministratore pubblico una dazione corruttiva. 


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