Mercoledì 24 Aprile 2024
Cosa contesta la Procura ai tre indagati nella gestione dell'impianto sequestrato


Acqua per diluire e abiti usati tra i rifiuti: le anomalie nel depuratore di Sant'Alessio

di Andrea Rifatto | 01/10/2022 | CRONACA

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L'impianto di depurazione fognaria

Dal pessimo stato di manutenzione dell’impianto, alla non corretta tenuta del registro di carico/scarico (con conseguente impossibilità di verificare la correttezza del trattamento e del successivo smaltimento dei rifiuti prodotti) fino alla rottura di alcune parti della strumentazione presente e all’assenza di autorizzazione allo scarico in mare, scaduta nel 2017 e non rinnovata. Sono diverse le anomalie contestate dalla Capitaneria di Porto di Messina nella gestione del depuratore di Sant’Alessio Siculo, sequestrato dalla Procura nei giorni scorsi. Gli indagati sono tre, l’attuale vicesindaco Giovanni Foti (all’epoca sindaco), l’architetto Gaetano Faranna (ex responsabile dell’Ufficio tecnico) e Caterina Agata Italia Sapienza, rappresentante legale della ditta “Rizzotti Costruzioni” di Catania che ha gestito l’impianto fino al 2020, accusati a vario titolo di omissione di atti d’ufficio, getto pericoloso di cose e inadempimento di contratti di pubbliche forniture. Gli accertamenti sono partiti l’8 ottobre 2019, quando la Guardia costiera ha acquisito in municipio la documentazione riguardante l’impianto, che prevedeva l’esecuzione di lavori di potenziamento e adeguamento per renderlo funzionale al ciclo depurativo. Lavori aggiudicati nel giugno 2019 alla ditta “Rizzotti Costruzioni”, che ha presentato la migliore offerta tra le cinque pervenute, per l’importo di 34mila 604 euro. Dall’esame del registro di carico/scarico emergevano le prime anomalie, visto che l’ultima annotazione risaliva al 24 gennaio 2017 ed era relativa ad una tipologia di rifiuto identificato con il codice CER200110 (abbigliamento), ovviamente non rientrante tra i rifiuti prodotti da processi depurativi; inoltre venivano riportati sia rifiuti provenienti dalla rete fognaria che stranamente quelli della raccolta di vestiti usati. Non vi era invece alcuna annotazione relativa ai rifiuti prodotti tra il 2008 e i 2014. 

La Guardia costiera ha quindi effettuato un sopralluogo nell’impianto di contrada Cassarina, scoprendo che i campionatori in ingresso e in uscita, che avrebbero dovuto sottoporre a prelievi automatici i reflui fognari, non erano funzionanti, così come il nastro automatico che avrebbe dovuto trasportare in un cassone adibito a vaglio le parti grossolane dei rifiuti trattenuti dalla grigliatura. Il vaglio veniva invece rimosso manualmente e il rifiuto prodotto dalla grigliatura accumulato all’interno di una “big bag”. Nel percorso depurativo non era presente una sezione di disoleatura e nella parte finale del canale di dissabbiatura è stato trovato uno scarico di “troppo pieno” chiuso da una saracinesca di fortuna in metallo, amovibile e fissata con due pezzi di legno. Lo scarico era comunicante con una vasca a fanghi attivi in quel momento disattiva e vuota e sottoposta a manutenzione ordinaria. La condizione manutentiva degli stramazzi metallici risultava precaria al punto da non contenere i fanghi galleggianti ed è stato accertato che il gestore, senza alcuna autorizzazione, immetteva acqua nella vasca per diluire il refluo subito prima della sua immissione nella condotta di scarico. Dalla vasca di clorazione fuoriusciva quindi refluo con perdita di fango. Anche l’Arpa ha rilevato il 27 novembre 2019 criticità “che rendono non controllabile l’impianto - ha scritto - con possibile scarico di fango in condotta sottomarina e di conseguenza nel mar Jonio”, oltre a “insufficienza del trattamento depurativo e mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione”. In occasione degli accertamenti congiunti di Capitaneria e Arpa “benché la concentrazione dei parametri fosse ampiamente compresa nel limiti, le acque scaricate in mare non erano comunque regolarmente depurate”. Per il gip che ha firmato il provvedimento di sequestro “carenze, omissioni e ostacoli nel corretto funzionamento del depuratore, pur essendo (o dovendo essere noto) noto agli indagati (Foti e Faranna, ndc) che l’autorizzazione era ormai scaduta e l’impianto inefficiente, gli stessi hanno omesso di attivarsi per la rimozione degli ostacoli al corretto funzionamento del depuratore, con conseguente potenziale gravissimo danno per la salute pubblica”.


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