Morì dopo una caduta in bici a Sant'Alessio: nessuna responsabilità del Comune
di Andrea Rifatto | 22/09/2025 | ATTUALITÀ
di Andrea Rifatto | 22/09/2025 | ATTUALITÀ
846 Lettori unici
La zona dove avvenne l'incidente
Non ci sono responsabilità del Comune di Sant’Alessio Siculo per la morte di Agatino Carnabuci, il 67enne originario della cittadina jonica ma residente a Chiavari, in provincia di Genova, deceduto il 31 luglio 2012 per i postumi di una rovinosa caduta in bicicletta avvenuta nel percorso ecologico del torrente Agrò. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Messina con una sentenza della giudice Emilia Caleca, che ha rigettato la richiesta risarcitoria dei familiari, assistiti dagli avvocati Natale Arena e Domenico Santoro, condannandoli al pagamento di 3.122 euro di spese di lite. Sentenza che adesso è stata appellata contro il Comune, che ha riconfermato l’incarico all’avvocato Ernesto Fiorillo, difensore già in primo grado, in vista della prima udienza del 30 novembre in Corte d’appello. Carnabuci, docente in pensione che in quell’estate di tredici anni fa si trovata a Sant’Alessio in visita alla sorella convalescente, la mattina del 24 luglio aveva inforcato la sua mountain bike per una pedalata sul corridoio ecologico, ma sulla via del ritorno era caduto in un tratto in discesa a Mantineo mentre attraversava un cunettone per la raccolta delle acque piovane che tagliava perpendicolarmente il percorso stesso, battendo violentemente la testa. Dopo sette giorni di coma si era spento in ospedale. Sull’incidente venne aperto un procedimento penale per omicidio colposo a carico di ignoti, conclusosi nel 2013 con l’archiviazione, mentre nel 2014 partì una causa civile intentata dai familiari contro il Comune, che aveva sempre respinto ogni addebito non riscontrando le richieste di risarcimento, per chiedere di accertare la responsabilità dell’ente nella causazione del sinistro e condannarlo al risarcimento di tutti i danni. Comune che sin da subito ha contestato la ricostruzione dei fatti rilevando n particolare che il 67enne si era avventurato sulla strada luogo del sinistro nonostante la stessa non fosse percorribile con una mountain bike, che transitava sul sentiero ad una velocità elevata tale da non permettergli di mantenere il controllo del velocipede dopo aver attraversato il cunettone e che la zona teatro dell’incidente era facilmente visibile e la cunetta facilmente percepibile. Per il Tribunale civile di Messina, che si è avvalso anche di consulenze e perizie redatte nel procedimento penale, «il sinistro non è imputabile alle lamentate mancanze manutentive (presenza di un avvallamento che creava una pericolosa cunetta, presenza di pietrisco, mancata segnalazione della cunetta) quanto piuttosto alla condotta dello stesso danneggiato, di grave imprudenza e idonea a cagionare, in via esclusiva, il danno lamentato». La sentenza specifica che «nei punti di accesso al corridoio ecologico era posto un cartello identificabile quale segnale di “divieto di transito” e si deve ritenere che fosse rivolto a tutti i veicoli, comprese le biciclette e le mountain bike, dal momento che i velocipedi rientrano nella nozione di “veicoli”». Inoltre, secondo la giudice, «il percorso veniva realizzato quale “corridoio ecologico” mediante la creazione di “percorsi pedonali”» e dunque «il Carnabuci si addentrava nel sentiero teatro dell’incidente in sella ad una mountain bike, di fatto contravvenendo alla prescrizione di cui al segnale di divieto al transito posto all’ingresso della strada e ponendo in essere una condotta di grave imprudenza ex se idonea a cagionare, in via esclusiva, il danno lamentato». La sentenza aggiunge anche che «il cunettone era visibile a sufficiente distanza» e «il percorso ecologico, nel tratto in discesa situato immediatamente prima del cunettone, era caratterizzato da un dislivello e anche questa situazione del piano viabile era visibile a sufficiente distanza, sicché certamente le caratteristiche della strada non erano tali da integrare un’ipotesi di “insidia” o “trabocchetto”».