"Cinemadamare" a Roccafiorita, storie di giovani registi da tutto il mondo - VIDEO
di Filippo Brianni | 02/09/2025 | ATTUALITÀ
di Filippo Brianni | 02/09/2025 | ATTUALITÀ
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La premiazione finale del vincitore
Vengono da ogni parte del mondo, con un piccolo trolley in cui ci mettono dentro tutti la stessa passione e lo stesso sogno. La passione è il cinema, il sogno è fare di questa passione il loro futuro. E così per circa tre mesi si sguinzagliano per i vicoli dei borghi italiani, ogni domenica uno diverso, viaggiando in un pullman e dormendo in sleepingbag, armati di curiosità, telecamere e un pizzico di “faccia tosta” per convincere gli abitanti dai vari paesi a dare volti e oggetti per realizzare il cortometraggio da presentare, e possibilmente far vincere, il sabato successivo. Insomma, la vita dei “cidiemmini” – così si chiamano tra loro – non è certo noiosa. Cinemadamare, il campus cinematografico itinerante più importante al mondo, per l’intera estate è casa loro. Lo dirige un pragmatico e… sognatore giornalista di LA7, Franco Rina, lucano di tempra e romano di adozione. Anche quest’anno, per la seconda estate consecutiva, Cinemadamare si è inerpicata a Roccafiorita, iniettando dal 18 al 23 agosto una sessantina di giovani in un borgo, il meno popolato del Sud, che conta meno di duecento residenti. E vediamo più da vicino alcune di queste storie, scrutando Roccafiorita attraverso gli “obiettivi” di questi giovani, cercando di capire l’effetto che fa un borgo del genere visto da lì, da così lontano, da visuali così diverse, da occhi e obiettivi già abituati a tutto, ma soprattutto ad altro. “I love Roccafiorita”, esulta ed esalta Brenda da Madrid, regista e attrice di 25 anni. Lo ripete anche in italiano, per esser sicura di esser capita. È già la seconda volta a Roccafiorita, come Mateo, con una “t”, perché pur vivendo ormai a Milano è albanese e in Italia si occupa soprattutto di promuovere la cultura Arbëreshë. Fa schizzi su un foglio e guarda la valle. Appoggiato a una balaustra, immagina un giorno “di tornare qui a fare un bel film”. Lui non lo sa, ma quella balaustra tra qualche settimana farà a pugni solo con la solitudine di un paese che si svuoterà e si raffredderà. O forse, invece, lo sa bene, visto che a Roccafiorita ha scelto di realizzare un corto (“Morituris”) in cui un uomo con una doppietta in mano combatte gli zombie, quelli che lui in paese immagina essere uomini, ma in realtà sono solo i fantasmi di un passato andato. Quell’uomo, peraltro, è interpretato da Pippo Russo, “fioritano”, sulla cui bravura – e vittoria! – all’edizione dello scorso anno evidentemente si era sparsa la voce tra i pochi ragazzi che era qui anche nel 2024 e che lo hanno subito “ricercato”. Pippo, faccia da Franco Franchi col pizzetto, espressione dura da Bud Spencer comicizzato, tempi perfetti per un attore che attore non è mai stato, fa divertire paesani e ragazzi. Era già dato favorito per la vittoria finale, ottenuta con “Filmdazionemoderata” del fiorentino Niccolò Paderna, che racconta l’ironica avventura – e la disavventura – di tre scapestrati (con lui anche Giovanni e Tino Orlando) che, non sapendo come far soldi, pensano male di rubare le reliquie del Santuario. Ma sul Kalfa si imbattono in un prete (interpretato proprio da Mateo Cili) poco incline al perdono… Nell’unico bar del paese si inseguono alcuni set dei 14 corti girati in settimana, oltre alle 8 clip-documentario su storia, caratteristiche e altri aspetti di Roccafiorita. Ma anche storie venute fuori senza che nessuno le abbia scritte, che non conosceranno mai pellicole e che resteranno incise solo nei ricordi di questi ragazzi e dei “fioritani”. Ne intercettiamo qualcuna. Al tavolo, due whisky luccicano i sorrisi di Peppino a Hamid. Il primo “nacque” in una Roccafiorita che non c’è più, che “era piena di bambini, qui in questa piazza” portandosela nel cuore oltre Ellis Island, in una New York dove ha costruito palazzi ed esperienze. Guarda da lassù ora quest’America che cambia veloce. Dal fondo di un Iran che sembra non voler cambiare più viene invece Hamid, 33 anni, tutti spesi a lottare con le armi della parola. E del sorriso. Carico. Sempre, anche quando racconta cosa gravi. Usa e Iran allo stesso tavolo di un piccolo borgo di pace del profondo sud italico… Fa sorridere. Ma fa capire che molto spesso le persone sono molto più belle di chi li governa. Hamid vive oggi tra Roma e Milano ma il “giorno che sarà possibile, sarò il primo a tornare a Teheran. Sogno di fare il docente universitario lì, possibilmente in scienze politiche”. Perché è questo che ha studiato. Ed è per questo che ha pagato. Partito per l’Europa per sfuggire alle punizioni per via del suo attivismo, una volta scaduto il passaporto ha dovuto fare ricorso ad un visto per asilo politico che l’Italia ha concesso, perché malgrado il nero, da noi resta ancora luce. Anche in Italia continua a lanciare parole e idee, lui e tanti altri, che bombardano quel regime più delle bombe di Trump. “Quel regime è al collasso e questo è il momento di cambiare le cose, non con le armi, ma con le riforme, individuando governanti che rappresentano la gente. Perché, vedi, l’Iran non è quello che vi mostrano in tv; dietro la facciata c’è un intero popolo che vive libero e sfida quotidianamente regole assurde. È questo l’Iran vero, non il regime”. Per lui il cinema è passione e strumento, sia per il lavoro (a “Cinemadamare” fa parte ora dello staff) sia per veicolare le proprie idee. Di tornare in un Iran diverso lo spera anche una sua connazionale, la 23enne regista Mehrnaz Teheranchi (letteralmente “di Teheran). Una “ragazzina” già adulta, di pochissime e decise parole, dallo sguardo potente. Come emerge dal corto che ha firmato a Roccafiorita, “Confessione”, in cui un bambino, impermeabile all’ipocrisia, interroga un prete sul bene e sul male, sulla verità e sulla giustizia. E a proposito di giustizia, “non so che Iran troverò. Da due anni studio cinema in Italia e spero di continuare questo percorso”. Il suo sguardo torna sulla spagnola Brenda che mostra orgogliosa la foto del padre cameraman di cui lei sembra la fotocopia, più che la figlia. Sogna un futuro da regista. Adora l’ambiente di Cinemadamare (“ci aiutiamo tutti l’un altro in ogni set”) e sabato ha avuto la soddisfazione di vincere col suo film, “Ombra di colpa”, il premio migliore attore, andato ad un napoletano – i napoletani, quando si tratta di recitare, sono sempre da… scudetto! - Daniele Arfè. “Adoro scrivere e recitare – ci dice Daniele - Cinemadamare ci dà un’opportunità perché in questo mondo spesso ci si perde se non ci sono le occasioni giuste e la perseveranza necessaria”. Il più piccolo della compagnia è un altro spagnolo, Ivan, 18 anni, tutti in altezza. Viene da Barcellona (“Yamal? Mi spiace, non seguo il calcio”) e finito il liceo si è iscritto al Film School di Barcellona, cogliendo subito l’opportunità di Cinemadamare. “Roccafiorita? Insieme a Grumento Nova, quella che mi è piaciuta di più in queste nove settimane. La gente qui è così amichevole e disponibile”. E Cinemadamare è anche terreno fertile per amori giovanili, come la storia di Davide e Violeta, genovese l’uno, argentina l’altra, oggi componenti dello staff. Si sono conosciuti proprio a Cinemadamare un anno e mezzo fa, realizzano soprattutto documentari (come quello sulla storia di Roccafiorita) e sognano di lavorare insieme. “Questa esperienza ci aiuta a migliorare, ma soprattutto a conosce ed ampliare la nostra cultura”. Nel frattempo, nella solita piazzetta, due filmmaker del Kenia sono felici di incontrare un parroco, proveniente dal Ruanda, quello di Santa Teresa di Riva. Tra loro è subito sintonia, parlano dei loro luoghi ed anche un pezzo di Africa si arrampica improvvisamente in vetta all’Agrò. Come vi si arrampica Roxy (Ella Rose) nel corto “Fiorella” dello spagnolo Anan Zhu Ying, per ricaricare un telefono scarico. Seguendo Fiorella (Carolina Vecchia) trova invece il modo di ricaricare se stessa, tra le rocche del borgo, che non lascerà più. Almeno nel film… Poi c’è la messicana Regina Dosamantes che con lo spagnolo Ian Rodiguez ha firmato “Mother”; l’americana Ella Smith con “Fiorita”. Roccafiorita è stata anche l’esordio alla regia di un corto per la svedese Olivia Hoy, in “Frammenti di me”. Ancora spagnolo invece “James” di Xavier Minarro, che narra la perversione di un serial killer, mentre la californiana Erika Schroeder con il romano Matteo Capaldi hanno dato vita a “Conspiratio”, uno “spaghetti wester” tra la macchia mediterranea del Kalfa, che ha vinto il premio colonna sonora con la francese Maxime Cousin. “Roma non è qui” del rumeno Valentin ha giocato ironicamente sugli stereotipi siciliani, così come “Lo sanno tutti”, di Francesco, prima volta a Roccafiorita, ma tra tanti stranieri lui arriva da… Giarre. Dalle spiagge di Santa Teresa, la francese Nolwen Marty e la spagnola Leyre Pozuelo, hanno trasformato un limone in un telefonino per poi spiegare come Roccafiorita sia felicemente “lost in time”, nel loro fantasy “Lemon calling” che ha vinto il premio editing. È stata proprio Leyre a regalare l’ultima emozione della settimana, con una rovinosa caduta proprio vicino a via… Madonna dell’Aiuto la notte della partenza. Se l’è cavata con una distorsione. “Niente paura – commenta una sua collega – non voleva andarsene da Roccafiorita e si è buttata dalle scale”. Potrà tornare l’anno prossimo comunque, visto che Concetto Orlando, il sindaco, ha già preannunciato che su questa esperienza, il “the end” è ben lontano. "Film di azione... moderata” di Niccolò Paderna