Giovedì 25 Aprile 2024
La furcese Cristina Maccarrone, oggi a Milano, tra Sicilia, social media e scrittura


Io, giornalista e formatrice, vi racconto il mio libro e come è cambiato questo mestiere

di Filippo Brianni | 10/01/2021 | ATTUALITÀ

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Con "Scrivere per informare" il suo esordio da scrittrice

Ciò che salta subito all’occhio del libro è la doppia copertina. Puoi cominciare a leggerlo dall’inizio oppure rigirarlo dalla parte opposta e iniziare dalla fine. Che poi, anche la fine, è… un altro inizio. E arrivi sempre allo stesso punto, allo stesso centro. Perché “Scrivere per informare” sono due libri in uno, un “double face”, come dice lo stesso editore (www.flacowski.com/23-scrivere-per-informare.html). Tratta di come si informa al tempo del digitale da una doppia visuale: da una parte la messinese Cristina Maccarrone sviscera l’argomento dal punto di vista del giornalista, dall’altra Riccardo Esposito, napoletano, tratta la stessa materia con l’occhio del blogger. Entrambi figli del Sud, come l’editore, Flacoswki, palermitano. Cristina è giunta a Milano da Furci Siculo per scrivere un’altra propria storia che, come il libro, se la si comincia a leggere dal lato opposto poi arriva allo stesso punto. Allo stesso centro. La incontriamo in una mattinata in cui il sole si sforza di cacciare la nebbia oltre il Capo Sant’Alessio, su quel lungomare tante volte da lei percorso a bordo del pericoloso "pandino" color verde pallido usato da ragazza per scovare notizie per il Giornale di Sicilia. Veniva, allora, da uno stage toscano al Tirreno e sarebbe presto partita tra Roma e Milano ad inseguire il sogno di fare la giornalista “sul serio”. Oggi a Milano ci vive e ci lavora, come giornalista, ma anche come formatrice e manager di contenuti informativi per aziende. Ma è dal "lato siculo" del libro e di sé che vuole iniziare a raccontarci questo esordio tra gli scaffali delle librerie. “C’è molta Sicilia in 'Scrivere per informare'. L’editore, il fotografo (il furcese Carmine Prestipino), le idee elaborate in parte anche di fronte al mare di Furci - esordisce - credo che la Sicilia la si possa aiutare meglio guardandola da lontano e tornandoci periodicamente per condividere la crescita fatta. Ci sono persone che dicono di amare profondamente questa terra ma in realtà avrebbero voluto fuggire e non se ne sono andate solo perché non hanno avuto il coraggio di farlo; altre, come te, che hanno avuto il coraggio di restare e si impegnano ogni giorno per renderla un posto migliore; altre, infine, come me, che l’amano così profondamente che la portano altrove”.

Intanto qui le domande e i complimenti li faccio io, rassegnati per un’ora a fare l’intervistata e non la giornalista. Detto questo, non vorrai dirci che dovremmo comprare il libro solo perché è “made in Sud”?
“Anche, perché no?”.

Ok, fai la seria ora, altrimenti Andrea Rifatto non ce la pubblica l’intervista. Nel tuo profilo Facebook spesso pubblichi post a favore della carta e sembra che tu detesti gli ebook. Poi, il primo libro della tua vita è su scrittura digitale. L’amico – più tuo che mio - Dante Alighieri parlerebbe di legge del contrappasso…
“Ma no. In realtà ‘Scrivere per informare’ è un libro rigorosamente di carta, non esce nemmeno in ebook, perché così ha scelto l’editore, quindi tengo fede alla mia cara carta. E poi la cosa bella è che nasce in crowdfunding, o meglio crowdblishing, ma solo in cartaceo”.

Crowdblishing? C’è anche un sinonimo dialettale? O cerco su Google translate?
“Fai il serio tu, adesso. È un’idea molto valida, secondo me, perché il libro viene proposto ai lettori prima di essere pubblicato, quindi lo compra chi lo vuole davvero. Il futuro lettore lo sostiene fin dall’inizio, anche nella sua fase di progettazione, visto che, per esempio, collabora a scegliere la copertina e poi viene informato su come stanno andando le prenotazioni, riceve email sull’evoluzione del libro. Nel nostro caso c’è stato anche un sondaggio sul ruolo di giornalisti e blogger che ha coinvolto un migliaio di persone”.

Molti dei quali siamo stati liberamente costretti a farlo da te…
“Ma non è vero! Cosa fai credere?”.

Giornalista e blogger. Ma tu e Riccardo, con questo libro, siete davvero convinti di poter dimostrare che il blogger non sia una brutta degenerazione del giornalista? Un qualcosa di ibrido, a cui si appioppa un nome fashion per farlo digerire meglio?
“No, abbiamo scritto questo libro per arrivare a una conclusione comune: giornalista e blogger, se lo fanno bene, possono entrambi ‘scrivere per informare’ davvero. Il tesserino di giornalista apre diverse porte precluse al blogger, ma questo non significa che anche il blogger non possa fare attività di informazione a tutto tondo. Ormai - tu che sei avvocato dovresti saperlo e se non lo sai vatti e rileggere il nostro libro - anche il Tribunale di Roma ha stabilito che aggiornare blog o un social network può equipararsi a lavoro di giornalista, visto che viene svolta ‘una complessa attività’ di natura intellettuale volta alla diffusione di notizie tramite vari strumenti di comunicazione”.

Lascia perdere i tribunali che non sono roba per te. Piuttosto, nel libro ci si concentra molto sulle nuove tecnologie. Ma alla fine il giornalista è colui che elabora una notizia e la scrive, lo faceva venti anni fa e lo fa adesso. Come le nuove tecnologie possono davvero aiutarlo a cambiare il suo modo di lavorare, anziché quello degli editori?
“Il giornalista oggi deve essere tecnologico, non può sfuggire. Deve conoscere Wordpress o un altro Cms (sistema di gestione contenuti online) avere delle basi di Seo (cioè scrivere per farsi trovare tramite motori di ricerca) e usare i social media come mezzo di diffusione di quello che fa, ma anche per dialogare con i lettori e trovare spunti per gli articoli. Come dice Jeff Jarvis, in una citazione riportata nel libro, “Il giornalismo è conversazione”, il lettore non è più un soggetto passivo dell’informazione, ma la commenta, la confronta, interagisce. Una volta il giornalista al massimo poteva ricevere una lettera di protesta in redazione che di solito rimaneva tra lui e il singolo lettore; oggi un articolo riceve interazioni sui social che leggono tutti. Prima si scriveva il pezzo, lo si mandava in redazione e il compito del giornalista finiva lì; oggi deve essere in grado di pubblicare anche in tempo reale, pure da un telefonino, scegliere foto, individuare fonti. Prima bastavano macchina da scrivere e telefono; oggi, come strumento può bastare un telefonino, ma il giornalista necessita di conoscenze tecnologiche impensabili fino a qualche lustro fa. Il nostro libro prova a far capire che tutto ciò è più a portata di mano – o, se vogliamo, di… mouse - di quanto si possa credere”.

Bene, se adesso allora ti dicessi tool cosa mi risponderesti?
Google Drive, Trello, Google Trends. Drive per avere tutto salvato in cloud, in modo che se devi aggiornare qualcosa e non hai il tuo computer puoi farlo dal cellulare o da qualunque accesso; Trello, per organizzare il proprio lavoro, oltre che per fare un piano e un calendario editoriale delle pubblicazioni; Trends per vedere quali sono gli argomenti più cercati dalle persone nel tempo”

Non vogliamo conoscere la tua età, ma solo il più antico strumento digitale che hai utilizzato da giornalista...
“Computer, sono giovane, io. Anche se era un fisso. E con lo schermo grosso. E, ora che ci penso, anche molto lento. Ok, lo ammetto, ne è passato di tempo. Però non ho mai lavorato con dimafono, Olivetti 32 e fax di carta, tu credo di sì…”.

Cambiamo discorso che è meglio: a) fake news; b) incompetenza tecnologica, c) faida con la grammatica; d) sindrome da comunicato senza approfondire. Quale delle quattro secondo te fanno più male al giornalismo moderno?
“È difficile fare una classifica. Credo tutte. Però al primo posto metterei le fake news e al secondo i comunicati stampa non approfonditi. Nel primo caso si diffondono notizie false ai lettori e questo deliberatamente e consapevolmente non si dovrebbe mai fare; quanto al comunicato, andrebbe trattato sempre da fonte, come spiego nell’ultimo capitolo del libro, e non come qualcosa da copiare e incollare senza un minimo di approfondimento, anche quando il comunicato è scritto benissimo ed è completo”.

Esageriamo nel dire che il tuo libro può essere anche una sorta  di “strumento anticovid” per famiglie e lavoratori?  Nel senso che il buon utilizzo di un device (vedi che anch’io parlo come un tuo libro stampato?) può farci muovere nel tempo e nello spazio senza dover indossare mascherine. Maneggiare bene tools e piccole tecniche digitali aiuta anche con la didattica a distanza o con lo smart working, oltre che nel giornalismo… 
“Sì. Secondo me questo libro è andato oltre a quello che io e Riccardo avevamo pensato. Noi avevamo creato un prodotto per giornalisti e blogger e invece abbiamo scoperto che si adatta bene a chiunque voglia scoprire meglio come giungono le informazioni, con cui tutti, nessun escluso, abbiamo a che fare ogni giorno. La pandemia lo ha dimostrato ancora di più. Nel libro ci sono consigli pratici su come capire se un articolo stia davvero ricostruendo l’’albero delle informazioni’, che vuol dire dare la possibilità al lettore di sapere da dove il giornalista è partito per arrivare alle informazioni che fornisce e dargli la possibilità di raggiungere direttamente la fonte (documenti, normative, comunicati), sia per approfondire che per verificare. Ciò online diventa possibile grazie ai link”.

Riponiamo il libro nel cassetto ora, e chiudiamo con un rapido accenno alle cose che fai quotidianamente. Iniziamo con la Cristina “giornalista”: il tuo articolo più bello? Il reportage da Tel Aviv per Marie Claire nel 2018 o la vittoria di Carlo Lo Schiavo a Santa Teresa di Riva nel 2004 per il Giornale di Sicilia?
“Quello che ho scritto sulla morte di mio padre, per Medium (urly.it/39rnm), che poi non è un articolo…”.

La Cristina “social media manager” (che brutta parola…), ti senti più social dietro a uno schermo o davanti a una birra?
“A me la birra non piace, preferisco il vino. Ma non c’è molta differenza tra come sono sui social e nella realtà, faccio sempre domande e cerco di farmi sempre un’opinione”.

La Cristina “formatrice”, quanto c’è di questo tuo ruolo nel libro?
Tanto. Fare formazione vuol dire trasmettere utilità alle persone e condividere ciò che sai fino a quel momento. Il libro, in fondo, fa questo”.

L’ultima, la Cristina "scrittrice", dicci che è solo l’inizio!
“Sì. Ne sto scrivendo uno sul content marketing per gli eventi. Mentre per i romanzi lascio a te”.

Allora, alla prossima, anzi al… prossimo
“Al prossimo”.

Pensi che se Andrea leggesse il tuo libro poi la pubblicherebbe un’intervista così?
“Penso di no”.


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