Mercoledì 08 Maggio 2024
Intervista al figlio Alessandro: in programma eventi per ricordare il poeta


Roccalumera, Quasimodo e il 60° del Nobel: "Italiani senza memoria culturale e politica"

di Andrea Rifatto | 18/05/2019 | CULTURA E SPETTACOLI

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Alessandro Quasimodo alla scrivania del padre

“Non è che mi possa emozionare per una cosa di questo tipo, è una ricorrenza ed è giusto che venga ricordata con delle manifestazioni, perché i morti hanno sempre torto, hanno avuto il torto di morire”. Alessandro Quasimodo, seduto alla scrivania che fu del padre, nei locali dell’antica stazione ferroviaria di Roccalumera che ospitano il Museo Quasimodiano, all’interno del Parco Letterario Salvatore Quasimodo, è reduce dall'Istituto "Majorana" di Milazzo da una delle prime iniziative organizzate in occasione del 60esimo anniversario dell’assegnazione del Nobel per la Letteratura nel 1959 al poeta dell’Ermetismo, che cade quest’anno. I fratelli Carlo e Sergio Mastroeni, fondatori del Parco, hanno in cantiere una serie di iniziative tra Roccalumera, Milazzo, Messina, Patti, in collaborazione con il Teatro di Messina, la Città metropolitana e il Conservatorio "Corelli", e confidano di coinvolgere anche la città di Stoccolma, con la partecipazione dell’Istituto Italiano di Cultura, per promuovere anche a fini turistici i luoghi siciliani impregnati di storia quasimodiana. Ne abbiamo approfittato per fare qualche domanda ad Alessandro Quasimodo.

Come vive il figlio di Quasimodo questo anniversario?
“Finora non ne ha parlato nessuno, anche perché l’anno scorso si è celebrato il 50esimo della morte, anche se ci sono i clan letterari, alcuni considerano Quasimodo un grande poeta, altri che sia uno dei tanti. Ma visto che in Italia c’è bisogno sempre di una scadenza per ricordare, sfruttiamo questa cosa  del 60esimo. Sono 50 anni che mi dedico a lui e ho fatto vivere il nome di Quasimodo, perché sennò sarebbe nel dimenticatoio come tanti altri, portando in giro la testimonianza viva della sua poesia anche attraverso le mie letture da attore teatrale. La memoria del popolo italiano è molto labile e non si può pensare che ci sia memoria anche culturale, visto che non c’è memoria politica e di quello che è accaduto in Sicilia anni addietro, dei misteri che non si vogliono chiarire, come Portella della Ginestra. Speriamo ci sia un soprassalto di dignità del popolo italiano”.

Il Nobel e quella medaglia d’oro venduta all’asta…
"Ma questa è una leggenda. Io ho deciso di vendere la medaglia perché l’avevo comperata sul mercato milanese della numismatica, non c’era in casa quando è morto mio padre, c’era l’astuccio vuoto. Dopo 30 anni ,nel 1998, ho pagato 30 milioni di lire per riavere questa medaglia. Quindi non era un’eredità paterna, era in una cassetta di sicurezza destinata a un’altra persona e questa persona l’ha venduta per fare soldi. Per me non rappresentava niente, è un simbolo. La cosa importante è che lui abbia avuto il Nobel, non è certamente una medaglia che arricchisce. Sono usciti ignobili articoli sui giornali, “il padre si rotolerà nella tomba” e robe del genere. Nessuno ascolta le storie come sono davvero”.

Ma come cambiò la vita di Quasimodo, se cambiò, con il Nobel?
“Cambiò certamente, anche se non per la somma di denaro ricevuta da Stoccolma, che allora non era ragguardevole. Dopo il Nobel mio padre ha viaggiato molto, è stato un piccione viaggiatore, veniva invitato ad Harward, ad Oxford, a tenere conferenza a Stoccolma, in Norvegia, in Russia, tanto è vero che in Russia si sono aggravate le sue condizioni di salute. Ma era dell’idea che se avesse rinunciato agli inviti gli altri avrebbero perso fiducia in lui. Ed è morto ad Amalfi proprio per questo: due giorni prima aveva trovato delle tracce di sangue sul cuscino e c’era già in atto un’emorragia prima della partenza, ma era presidente del Premio Amalfi e volle esserci. C’ha rimesso la vita per onorare un impegno. Mio padre teneva inoltre delle rubriche sulle riviste Tempo e Le Ore, è stato insegnante in conservatorio, critico teatrale e si è fatto tanti nemici in quel campo, che non hanno giovato alla mia carriera: mi capitava di andare da un regista che era stato sistemato per le feste da lui e quando dicevo il mio nome non avevo opportunità di lavoro in certe compagnie”.

Qual è il rapporto tra le opere di Quasimodo e Roccalumera, dove lei è cittadino onorario, e che ricordi personali ha?
“Era un piacere d’estate venire a Roccalumera, c’era casa Quasimodo che era comodissima e tranquillissima, si poteva scendere a mare direttamente. Ma poi il destino, nella persona di qualcuno, ha deciso di vendere questa casa, con dentro la sorella di mio nonno, morta di dispiacere perché sapeva che c’era qualcuno che aspettava che lei morisse per occuparla. Per anni i bagni, il mare, a Roccalumera veniva giù anche mia madre: ricordo un’estate trascorsa una decina di giorni a tradurre la raccolta di poesie “Lu pani si chiama pani” di Ignazio Butitta, uscita con le illustrazioni di Guttuso.

Sua madre, Maria Cumani, era una donna di cultura, una danzatrice: che persona era e che rapporto c’era con Quasimodo?
“Un rapporto di grande amore da parte di Quasimodo, all’inizio lei era un po’ dubbiosa, perché quando si fa avanti un geometra già sposato, che ha una figlia dall’amica della moglie e che vivono tutti insieme a Milano, diciamo che non è una garanzia. Lei essendo di famiglia borghese e di persone che ragionavano in un certo modo. Anche oggi un padre sarebbe dubbioso se vede la figlia che va così, all’avventura, con un uomo senza arte né parte, già sposato, con una figlia fuori dal matrimonio. Invece lei se ne andò di casa e ha fatto le sue scelte”.

È soddisfatto del lavoro fatto al Parco Salvatore Quasimodo di Roccalumera?
“È stato fatto certamente un bel lavoro, a cui ho collaborato”.


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