Venerdì 19 Aprile 2024
Verdetto della Corte d’appello di Messina. Il caso scoppiò dopo le elezioni del 2006


Forza d’Agrò. Processo residenze false, reato prescritto per i quattro imputati

di Andrea Rifatto | 09/04/2016 | CRONACA

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Si è chiuso con una sentenza di prescrizione il processo sulle false residenze a fini elettorali nel comune di Forza d’Agrò. Nell’udienza dibattimentale di secondo grado, svoltasi ieri davanti la Corte d’appello penale di Messina, il collegio presieduto da Francesco Tripodi e formato dai consiglieri Carmelo Blatti e Maria Eugenia Grimaldi ha dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato di falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o di altri nei confronti degli imputati Lucio PatanèSandro CirinoGiuseppe Bartolone e Giuseppe Puglisi, condannati in primo grado nell’ottobre 2012. La vicenda nacque dopo le elezioni amministrative del giugno 2006, quando alcuni cittadini del borgo collinare presentarono un esposto alle Forze dell’ordine nel quale denunciavano come diverse persone provenienti da altri comuni avessero trasferito la propria residenza a Forza d'Agrò nel periodo precedente la consultazione elettorale, sostenendo come ciò fosse legato esclusivamente alla volontà di voler partecipare al voto. Dalle successive indagini condotte dai carabinieri della locale stazione emerse come alcuni di coloro che avevano presentato richiesta di iscrizione all’Ufficio Anagrafe del Comune risultavano dimorare in abitazioni fatiscenti, inabitabili, prive da decenni di utenze idriche o in immobili di proprietà di altre persone. A processo con l’accusa di falsa attestazione circa il luogo di abituale dimora, ossia della residenza, finirono quindi in sette e l’1 ottobre 2012 il giudice Giovanni Albanese del Tribunale di Taormina riconobbe colpevoli Lucio Patanè, Sandro Cirino, Giuseppe Bartolone, condannandoli a tre mesi di reclusione con pena sospesa, mentre Giuseppe Puglisi a quattro mesi senza il beneficio della sospensione condizionale, riconoscendoli responsabili di quanto loro contestato ed evidenziando come “il fenomeno segnalato dai firmatari dell’esposto non appare affatto nuovo né inusitato per alcune piccole realtà meridionali e non appaiono dubbi circa la fondatezza dell’ipotesi accusatoria provata dagli elementi di giudizio tratti dalle indagini svolte dalle Forze dell’ordine”. Altri tre coinvolti furono invece assolti con la formula del fatto non sussiste vista l’insufficienza di prove.

Le difese dei quattro imputati presentarono appello e ieri in aula il procuratore generale Antonio Carchietti ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado ribadendo la presenza di “plurime e concordanti testimonianze a sostegno della tesi accusatoria”. I difensori di Patanè, Cirino, Bartolone e Puglisi, gli avvocati Antonino Caliri, Antonino Strangi, Fabio Di Cara e Antonio Scarcella hanno invece replicato che il dispositivo di primo grado "è scaturito da travisazioni delle dichiarazioni rese dai testimoni e contiene motivazioni illogiche" e che l'esposto presentato nel 2006 scaturiva da motivi politici, chiedendo allo stesso tempo la dichiarazione di intervenuta prescrizione in quanto il reato risalirebbe a dieci anni addietro. Richiesta accolta dal collegio giudicante, che ha ricalcolato i termini e in serata ha emesso sentenza di non doversi procedere nei confronti dei quattro per prescrizione del reato contestato, punito dal codice penale con la reclusione da uno a sei anni. 


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