Giovedì 09 Maggio 2024
La società chiedeva l'annullamento di un atto, che per i giudici non ha inciso sullo stop


Savoca, dopo undici anni il Tar rigetta il ricorso contro il Comune sulla cava di gneiss

di Andrea Rifatto | 16/06/2022 | ATTUALITÀ

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Lo stabilimento Sicobit di Savoca

A distanza di undici anni si conclude con una sentenza di primo grado uno dei giudizi in corso tra il Comune di Savoca e la “Sicobit”, società del gruppo Musumeci proprietaria dello stabilimento estrattivo a valle del centro abitato. Il Tar di Catania ha infatti dichiarato inammissibile per difetto originario di interesse un ricorso presentato nel 2011 dalla società, rappresentata dagli avvocati Giuseppe Sciuto ed Andrea Scuderi, contro il Comune (difeso dall’avvocato Cecilia Nicita) e l’Assessorato regionale Territorio e Ambiente, finalizzato ad ottenere l’annullamento di un provvedimento del 2010, con una richiesta di risarcimento danni di circa 100mila euro, con il quale l’Ufficio tecnico ha attestato l’esistenza di vincoli preclusivi alla prosecuzione dell’attività estrattiva nella cava di gneiss. Il Comune, su richiesta presentata dalla “Sicobit” finalizzata ad ottenere il rinnovo dell’autorizzazione per l’attività estrattiva, aveva attestato che l’area ricade in una zona E (agricola) in cui l’attività di cava è vietata dal vigente Programma di Fabbricazione di Savoca, e che il terreno è “sito di attenzione per il forte degrado ambientale che potrebbe comportare grave rischio per la pubblica e privata incolumità”. 

Il Tar ha rilevato che la nota impugnata costituisce “un atto che si inserisce all’interno del procedimento di rinnovo dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di cava (il cui provvedimento finale avrebbe dovuto essere emanato dal Distretto Minerario) e che consiste in una semplice manifestazione di scienza e di conoscenza, priva di manifestazione di volontà e non autonomamente impugnabile” e che la dichiarazione dell’esistenza di vincoli urbanistici “è assimilabile al certificato di destinazione urbanistica, atto “meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano e in quanto privo di efficacia provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività e ciò rende impossibile la sua autonoma impugnazione”. Tra l’altro l’istanza di rinnovo della “Sicobit” per proseguire l’estrazione di gneiss era stata poi rigettata con un decreto dalla Regione poiché non è stata riscontrata la richiesta del Distretto Minerario di Catania di acquisire il giudizio di compatibilità ambientale (decreto impugnato dalla società con un ricorso rigettato dal Tar e dal Cga) ed era stato pure archiviato il procedimento volto alla verifica di assoggettabilità alla procedura di Valutazione di impatto ambientale per il progetto di rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva e nonostante l’emissione dell’attestato da parte del Comune di esistenza di vincoli, la Sicobit non lo avrebbe, comunque, esibito. Quindi “il documento non ha minimamente inciso sulla procedura volta al rinnovo dell’autorizzazione che si è conclusa negativamente, a prescindere da esso”. In sostanza per i giudici è mancato “l’interesse (originario) al ricorso perché dal suo eventuale accoglimento non sarebbe derivata e non deriverebbe alla ricorrente alcuna utilità”. La “Sicobit” è stata condannata al pagamento di 2mila euro di spese di giudizio a Comune e Regione. 


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